lunedì 31 gennaio 2011

Racconto: Non si maltrattano così le signore - di Sara Ferraglia

Non si maltrattano così le signore è  il racconto di Sara Ferraglia che inserisco oggi su Blogolonelbuio. Un racconto che definirei donna, divertente e scorrevole senza essere banale. Sara in queste poche righe ha ricreato una situazione da commedia capace di generare una buona empatia col lettore e strappare qua e là qualche sorriso, lasciando però lampeggiare allo stesso tempo un riflesso scuro attraverso lo specchio. Cosa sicuramente non da poco.  




Non si maltrattano così le signore

di Sara Ferraglia
(già pubblicato su Viadellebelledonne)

Mi sono accomodata sulla poltrona del parrucchiere. Poca gente, musica new-age e volume un po’ troppo alto.
“ Arrivo subito da te “ Luca, uno dei ragazzi che lavora lì, rigorosamente vestito tutto di nero, si affaccia dall’altra stanza per poi sparire di nuovo.
Rimango sola davanti ad uno specchio immenso e crudele.
Molti anni fa mi piaceva guardarmi, sciogliere i miei capelli neri, lunghi e lisci nell’attesa che arrivasse chi doveva prendersi cura di loro e poi spostarli tutti sulla spalla reclinando il capo, con un gesto lento, studiato, lezioso e guardarmi nello specchio, fissarmi negli occhi scuri, grandi e accesi. Accadeva molti anni fa. Ora lo specchio è crudele perché non mi concede nulla. Non ho più capelli neri da sciogliere, perché da qualche tempo li porto corti, con la scusa che meglio si adattano alla mia personalità; in realtà lo faccio perché sono pratici, li posso lavare ogni mattina sotto la doccia e con le sole mani in pochi minuti li posso acconciare. E poi il capello lungo ad una certa età fa “dietro trofeo, davanti museo”. E poi il capello lungo ha bisogno di cura e attenzioni che solo un parrucchiere può dare, altrimenti si spezzano, si formano le doppie punte…e poi, e poi, accidenti, chi se ne frega del perché ho i capelli corti! Sono tutte elucubrazioni mentali che vogliono solo esorcizzare il tempo e la paura di vedere riflesse in questo specchio le tracce che questo mostro ha lasciato sul viso, sul collo, sui capelli.
“ Eccomi. Ciao, come stai?” dice Luca che con un balzo è tornato dietro le mie spalle.
In realtà non gliene frega niente di come sto io e quindi freddamente rispondo:
“Ciao a te, cosa facciamo coi miei capelli?”
“Dimmi tu, cosa vuoi?”
Un’altra cosa che da un po' di anni faccio fatica ad accettare (credo più o meno da cinque anni o giù di lì ) è questa facilità che hanno i giovani di darti del tu. Una mia amica dice che a lei piace perché la fa sentire a suo agio, invece a me fa sentire fuori posto.
Mi tocco i capelli, li giro e li rigiro fra le dita e poi decido:
“Taglia. Un bel corto tutto sfilatino.”
Luca canticchia e prende da un cassetto una mantella nera così non mi si appiccicheranno tutti i capelli sui vestiti.
Sbandierando come un toreador mi avvolge in quella nuvola sintetica e chiude il tutto stringendo il laccetto di velcron sulla mia nuca.
A quel punto il mio collo subisce una rapida trasformazione e la pelle si raggrinza, si affloscia, si piega e io mi sento un visitor, un E-t appena sbarcato su madre terra!
“Scusami, ho forse stretto troppo?”
“ Un pochino!” gli rispondo col volto paonazzo.
Luca allenta il laccetto e il mio collo si distende di nuovo e torna alla normalità come pure il mio colorito e il ragazzo, sempre canticchiando inizia a tagliuzzare qui e là sulla mia testa.
Continuo a guardarmi nello specchio, che mi sembra sempre più grande e sono rigida come un baccalà, con tutti i muscoli del mio corpo in massima tensione.
Una volta, credo circa dieci anni fa o giù di lì, (incredibile come, ultimamente, mi venga naturale e urgente quantificare il tempo) mi capitava raramente di non sentirmi a mio agio in qualsiasi situazione mi trovassi mentre ora, ogni tanto, divento Dottor Jackil o Mr.Hide e subisco queste strane metamorfosi.
La porta a vetri del negozio si apre e insieme ad una folata di gelo entra qualcuno.
“Ciao caro, come stai? Hai tempo per me che ho un po’ fretta? Come mi trovi? “ la voce un po’svenevole precede di qualche istante l’immagine di una stupenda ragazza che ora si riflette nello specchio divenuto, per l’occasione, improvvisamente benevolo.
Mi chiedo come farà Luca a rispondere contemporaneamente a tre domande precise e a mettersi subito a sua disposizione poiché sta lavorando sulla mia testa.
Lui prima con quella strizzatine di velcron ha messo a disagio me e quindi ora aspetto di vedere il suo imbarazzo nel dovermi mollare su due piedi! Eh sì ragazzino, qui ti voglio!
“ Ciao bellissima, bene grazie e tu? Ma certo, sarò da te fra pochi minuti e ti trovo splendidamente in forma “ si gira verso la scala e chiama Anna, pregandola di venire subito a sostituirlo.
Mi sorride, si allontana camminando a ritroso e intanto mi dice:
“Scusa sai. Io qui ho finito e ti asciugherà Anna. Non ti dispiace vero? Grazie.”
Ecco come ha fatto. E se l’è cavata anche bene. Sarà grazie all’esperienza o sarà per quella massa di riccioli rossi e quella fila di denti bianchissimi che gli stanno davanti?
Non ho nemmeno il tempo di rispondere che lui è già sparito nella stanza accanto seguito da una fresca e svolazzante scia di profumo.
Torno a girarmi verso lo specchio, sempre più rigida, sempre più baccalà e intanto alle mie spalle arriva Anna, che, un po’ infastidita mi saluta con un secco “buongiorno” e una veloce strizzatina di velcron, così mi trasformo di nuovo, prima in E-T e subito dopo in Mr.Hide.
Sento il mio volto farsi di nuovo paonazzo e i battiti cardiaci accelerare come impazziti.
“ Senti ragazzina, allenta subito questo laccio che mi stai strangolando “- le dico con una voce quasi gutturale, che suona nuova anche alle mie orecchie – e poi corri di là e dì a Luca che gli devo parlare immediatamente, capito? Vai!”
Mi strappo via il mantello da toreador, mi alzo in piedi di scatto pregustandomi il momento di gloria che avrò quando mi troverò davanti quello stronzetto di Luca. Gliele canterò in rima, gli dirò quanto è stato maleducato e che non mi vedrà più nel suo negozio e gli dirò anche che mi dava tremendamente fastidio quando si rivolgeva a me con quel “tu” troppo facile e gli dirò che non è mai stato capace di mettermi a modo la mantellina sulle spalle! Oh, ma quante gliene dirò!
Luca arriva e io troneggio su di lui come una regina disadorna (citazione da uno dei miei autori preferiti) mani sui fianchi da brava “rezdora”, capelli dall’acconciatura spaziale e fumo che mi esce dalle narici come ai tori nell’arena.
“Dimmi, che problema hai?”
Mi da del tu e mi fa anche una domanda precisa: che problema ho.
Che problema ho?
Ne ho mille di problemi e non uno. Il più grosso è che ad una domanda precisa in una situazione di disagio, non mi viene mai la risposta che vorrei.
Qualche secondo di silenzio e poi…le braccia mi scivolano lungo i fianchi, i capelli mi si afflosciano e la mia statura immensa torna nella norma.
Con una vocina flebile e tremula che non mi appartiene per nulla, esattamente come non mi apparteneva quella roca di prima, dico :
“ Non si maltrattano così le signore”. Divento rossa come un papavero e penso…meno male che leggo molto e vedo molti film, così qualche volta mi vengono le risposte giuste al momento giusto!


Titolo Film NON SI MALTRATTANO COSI' LE SIGNORE
Anno 1968
Titolo originale NO WAY TO TREAT A LADY
Durata 107
Vietato 14
Origine USA
Colore C
Genere DRAMMATICO
Formato TECHNICOLOR
Tratto da ROMANZO DI WILLIAM GOLDMAN


Sara Ferraglia: Tutto ciò che è poesia mi appassiona, ma ogni tanto scrivo anche fiabe, racconti e filastrocche per l'infanzia. Scrivo su blog letterari ( Artemisia, VDBD, La Recherche )
Miei racconti sono stati pubblicati su Stampa Alternativa e Prospektiva. Sono stata finalista e vincitrice in numerosi concorsi nazionali con poesie, fiabe e racconti molti dei quali raccolti nel mio blog: sarapoesia.blogspot.com

La sua mail è sara.ferraglia@gmail.com

mercoledì 26 gennaio 2011

Blogolonelbuio intervista Sul Romanzo

Oggi sono davvero contento di poter inserire qui su Blogolonelbuio questa bella intervista rilasciatami qualche giorno fa da Morgan Palmas, fondatore del blog Sul Romanzo.
Sul Romanzo credo non abbia bisogno di presentazioni per gli amici di Blogolo, dato che si tratta a mio avviso del blog letterario più attivo in Italia. Oggi il blog ha però subito una radicale trasformazione e Morgan ci spiega di cosa si tratta.



Visto che spesso qui su Blogolo si parla di esordi sarebbe bello conoscere l'esordio di Sul Romanzo, da cosa è nata l'idea, come è stata messa in pratica e quali erano le aspettative iniziali?
L’idea nella sua forma iniziale ha visto la luce nell’aprile del 2009 come mio blog personale, in realtà il progetto era nato alcuni anni prima, precisamente nel 2002, quando vivevo a Firenze, dove, fra sogni strampalati e slanci giovanili e precarietà esistenziale, desideravo fondare un gruppo letterario. Di sicuro frequentare con costanza gli eventi culturali della città, in particolare l’ambiente delle Giubbe Rosse di cui ancora conservo un bellissimo ricordo, aveva avuto una certa influenza sulle mie scelte successive. Fondai il gruppo – un’aggregazione di giovani amanti della letteratura –, ma non riuscii a far nascere una rivista e un sito come desideravo. A distanza di tempo ci sono riuscito, poi in pochi mesi una concatenazione di energie ha portato nuove idee e progetti. Ho conosciuto collaboratori dotati di intraprendenza e desiderio di mettersi in discussione attraverso la scrittura. Quindi le aspettative erano generose e spensierate, ciononostante nulla poteva far presagire un’evoluzione simile se osservo il presente.

Com'è stata inizialmente l'accoglienza dei lettori?
Tutto cominciò con una sfida: provare a scrivere un romanzo in cento giorni, poi divenuto un libro grazie alla casa editrice torinese Marco Valerio. Postavo ogni giorno una “lezione”, tentando di accompagnare chi aveva accettato la sfida su un sentiero che pensavo potesse in qualche modo aiutare il processo di scrittura e allontanare la paura del foglio bianco. Numerosi parteciparono e mi stupivano di continuo le mail che ricevevo, partecipate e talvolta toccanti per l’intensità delle confidenze. Perciò l’accoglienza è stata fin da subito calorosa, se mi si concede tale termine.

Oggi Sul Romanzo ha subito una trasformazione radicale non solo nella veste grafica ma anche negli intenti, mi pare di capire. Mi spieghi bene quali sono gli obiettivi che vi siete posti, quali i servizi offerti e a chi vi rivolgete (se vi rivolgete a qualche categoria in particolare)? Come è stato accolto il cambiamento?
Gli obiettivi sono nutrire un progetto che profuma ancora per fortuna di fresco, di voglia di provarci, di scrivere per passione e di condividere quanto si pensa d’un autore o d’un libro o d’un argomento letterario; e sono anche l’insana convinzione che dietro alle supposte o vere consorterie editoriali si possa mostrare qualcosa di sé, alla ricerca di opportunità e di contatti che aprano prospettive nuove e stimoli irrinunciabili all’interno del mondo della letteratura.
I servizi offerti – per i quali rimando alle sezioni del sito per i dettagli – vanno dall’editoria, al web, agli eventi, ognuno con microsettori. Ci rivolgiamo agli scrittori, alle case editrici e a tutti gli addetti ai lavori nel caso dell’agenzia letteraria, nel caso invece del blog e della webzine a coloro che amano la lettura e la letteratura.
Il cambiamento è stato accolto con stima, che riconosciamo nelle tante mail che ci arrivano ogni settimana, nei rapporti di fiducia che nel tempo si consolidano e nella curiosità che stiamo provocando, dato che non pochi ci chiedono interviste per esempio, un elemento che non trascurerei.

Tra le novità più evidenti che emergono dalla trasformazione di Sul Romanzo c'è la creazione di una vera e propria agenzia letteraria. Come puoi ben immaginare per i lettori di Blogolonelbuio si tratta di un argomento piuttosto interessante. Ti va di parlamene più in dettaglio? Come funziona la valutazione dei manoscritti? Che costo ha il servizio? Immagino abbiate messo in piedi canali privilegiati con diversi editori, ti va di fare qualche nome? Avete già scovato qualche titolo interessante?

L’agenzia letteraria confluisce nel progetto per consentire uno sviluppo ulteriore di Sul Romanzo. Si sono riunite persone e competenze per fornire ai clienti servizi professionali che possano nel tempo essere apprezzati per la serietà e la qualità. La valutazione dei manoscritti segue due strade: una scheda valutativa appunto o una rappresentanza, sono modalità diverse e non una propedeutica all’altra, dipende dalle necessità. I prezzi sono ben esplicitati nelle singole sezioni del sito, abbiamo cercato di stare sul mercato con prezzi vantaggiosi e consapevoli al medesimo tempo che più professionalità significa più costi per l’agenzia. Poi c’è chi fornisce i medesimi servizi a metà prezzo, ma ci si chiede con serietà come si possa rispettare il cliente prendendolo in giro. Ma comprendo che siamo nel libero mercato, e va benissimo così.
Sì, abbiamo canali preferenziali, quasi una ventina per la precisione, case editrici piccole, medie e grandi. I nomi li faremo appena avremo pubblicazioni eseguite, mi sembra corretto parlare con i fatti su questo, non con le potenzialità.
Titoli interessanti? Uno mi sembra che abbia ottime carte da giocare.

Più in generale, chi sono i tuoi collaboratori? Come funziona il lavoro di redazione? In che modo vi coordinate?

I miei collaboratori sono persone già legate precedentemente alle attività di Sul Romanzo e alcuni esterni. Il lavoro di redazione finora è stato sempre verticistico, di cui io rappresento la punta della piramide organizzativa. Grazie a una miriade di contatti continui stiamo cercando di costruire una struttura più consona a una piccola attività che sta diventando un progetto con diverse anime, quindi con più ruoli e responsabilità. Una cosa è fidarsi umanamente e senza troppi pensieri d’una persona, un’altra cosa è fidarsi aggiungendo ragioni economiche, organizzative, professionali, un terreno su cui è necessario considerare altri elementi, a volte con severità, senza farsi prendere da schemi troppo bonari, e pensando al futuro di Sul Romanzo, al suo bene, alla sua potenzialità che può e deve essere ricercata con passione e impegno.

Progetti futuri? Dobbiamo aspettarci altre novità?

Se guardo il presente mi sento di dire che la soddisfazione sta crescendo, vi sono certamente aspetti da migliorare, errori da comprendere e fiducia mal ripagata da accettare in qualche caso, ma questo mi sprona, ci sprona, mi e ci permette di considerare Sul Romanzo un’attività sulla quale investire parte del proprio tempo libero con speranza. Vi sono progetti futuri, alcuni diventeranno realtà nei prossimi mesi, intanto ci concentriamo su quanto abbiamo di fronte agli occhi, già siamo contenti.

martedì 18 gennaio 2011

Racconto: Mussolini - di Valerio Varesi

Oggi inserisco un racconto inviatomi da Valerio Varesi che ringrazio davvero di cuore per la sua disponibilità. Si tratta a mio modesto avviso di una storia dall'intensità straordinaria (per non parlare di quanto alcune osservazioni siano in queste ore più attuali che mai).
Valerio non ha certo bisogno di presentazioni. Dovendo immaginare una classifica italiana credo sia il mio autore noir preferito, ed è per questo che sono particolarmente contento di essere riuscito a portare qui su Blogolonelbuio un suo contributo.
 


MUSSOLINI



Del fatto di Bocchi se ne parlava ancora dopo molti anni e ce n’erano più versioni che carte da gioco. Siccome tutti lo raccontavano alla loro maniera, in definitiva non ci si capiva più niente. Osvaldo che si era preso la colpa, uscito di galera se n’era andato nel modenese a lavorare alle ceramiche e nessuno l’aveva più visto. I suoi compagni non ne vollero mai sapere di parlare e anche loro si persero per strade differenti. Nemmeno si era più ucciso il maiale tutti assieme, visto che la cooperativa aveva messo su il macello ed era più comodo portare la bestia lì, pagare il fio, e ritirare poi la roba bell’e fatta. Ma ogni tanto qualcuno tirava fuori Bocchi anche per un semplice paragone. L’hanno infilzato come Bocchi… C’ha più buchi di Bocchi… Si faceva presto a tornare sull’argomento. Ci si scherzava e ormai si inventavano fole apposta. Ma una sera che Zurlini l’aveva sparata più grossa, era saltato su Ottorino e gli aveva fatto la ramanzina. Dopotutto, in quella storia, uno ci aveva rimesso la ghirba e in tanti si erano rovinati. Lui la conosceva bene perché suo zio era uno di quelli che c’erano e l’avevano anche chiamato a testimoniare al processo. Però la verità non si era saputa del tutto neanche lì perché c’entravano un mucchio di cose: la politica, le donne, vecchie rogne e i rancori che si tira dietro la guerra. Detto questo, Ottorino si era preso una pausa per buttare giù un altro bicchiere prima di stupire tutti dicendo: “La faccenda è cominciata quando hanno ucciso Mussolini”.

Qualcuno l’aveva mandato a cagare tra i tavoli del bar dell’Orietta. Mica potevano ricordare tutti Mussolini. I più vecchi, forse. Sta di fatto che Mussolini era il maiale nero più bello che avessero mai macellato in val Termina. Baldo l’aveva comprato alla fiera di San Rocco a fine estate, tirandolo fuori da una nidiata di dieci perché già da piccolo comandava su tutti. Quindi l’aveva lasciato arare col grugno in lungo e in largo il bosco di Villanuova che aveva sotto una spanna di ghianda e Mussolini era ingrassato come una camera d’aria. A San Martino, quando i norcini avevano da girare più dei cani da caccia, Baldo non si decideva ancora dopo diciotto mesi di pastura. Pensava di tirarlo fino alla soglia dei due quintali e s’immaginava continuamente il grasso profumato che si andava ispessendo, la carne che cresceva. Calcolava a occhio il numero di bondiole, salami e soppressate che si sarebbero ottenute e ogni volta concedeva un’altra settimana di vita a Mussolini. E poi c’era l’orgoglio di avere una bestia così. I negozianti l’avrebbero comprato seduta stante e ogni tanto ci provavano venendo a vederlo e facendolo prillare a pacche nel culo per guardarlo meglio finché non si ribellava e cominciava a girare in tondo col suo verso stridulo.

“Veh, Mussolini…”

Dall’Orietta non si sentivano nemmeno più le carte cadere sui tavoli.

“Ma Baldo era fascista?” chiese il commesso del consorzio agrario che era venuto a stare in paese da poco. Gli rispose una risata.

Baldo era stato partigiano nel distaccamento don Pasquino della quarantasettesima Garibaldi comandato da Osvaldo. Comunista da sempre. Come gli altri che erano lì quel giorno e mica potevano immaginare che i norcini si tirassero dietro uno di fuorivia più giovane, uno di Corniglio che aveva trafficato con la brigata nera. E poi, nel ’52, le passioni erano ancora carne viva e in molti c’avevano i moschetti pronti in solaio. Togliatti infiammava le piazze e la polizia fascista faceva macelli. C’era poco da ridere, allora.

Fatto sta che Baldo aveva chiamato il maiale Mussolini in spregio al duce. “Un nimel cmè lu”, un maiale come lui, diceva ammirandolo. Più s’ingrossava, più diventava forte, più si mostrava prepotente nello stabbio, più c’era gusto ad ammazzarlo. Anche se la faccenda andava per le lunghe e ormai stava arrivando la fine di novembre con la neve che era già venuta a sporcare le strade un paio di volte senza fermarsi.

“E’ proprio il ritratto del duce” diceva Baldo agli altri. “C’ha la testa grossa come lui”.

“Testa di cazzo” sibilava Guarnieri che era il più incarognito di tutti per via del padre ammazzato dai fascisti.

“Ho sempre detto che è una storia di politica” alzò la voce Rocchi. “Una storia tutta politica” ribadì.

Ottorino scosse la testa.

“Le cose non hanno mai un verso solo” borbottò. “Nei temporali, a far danno, non c’è solo l’acqua…”

“Sto con quello che è saltato fuori al processo” ribadì Rocchi.

“I processi non la raccontano mai tutta. Prendono una piega e ci vanno dietro: è più comodo” ribatté Ottorino con scetticismo. “Non hanno parlato di quella storia di donne…”

Se ne parlava nelle osterie anche il alta val Parma, ma più che altro erano pettegolezzi, sussurri. Però di quelli insistenti come la musica dell’organino della sagra. Quando Bocchi era stato ammazzato sotto il portico di Baldo e le chiacchiere avevano cominciato a girare, si diceva che Osvaldo s’era presa una colpa non sua e che c’entravano la politica e le donne. Poi, dal modo in cui era stato ammazzato, si capiva che tutto quello non bastava e che in mezzo dovevano esserci state anche altre rogne rimaste a lungo a covare. Bocchi, infatti, sembrava un San Sebastiano. Gli avevano trovato almeno una ventina di buchi fatti con l’osso del cavallo che serve per annusare i prosciutti stagionati, tanto che sembrava l’avessero davvero saggiato da capo a piedi. Il colpo mortale, però, ce l’aveva nel petto: una pugnalata vera, di coltello, dritta al cuore come avevano fatto con Mussolini e tutti i maiali passati all’arma bianca dei norcini.

Parlandone a babbo morto, va detto che Bocchi se l’era un po’ cercata. Se vai a macellare un maiale a casa dei comunisti nel ’52, e c’hai un passato nero, come minimo te ne stai zitto. Ma Bocchi era così, uno che non si rassegnava al fatto del tempo. O forse c’era andato apposta. Qualcuno la chiamava fedeltà, altri idiozia. Certo non era stata una gran mossa quella di far l’offeso e parlare a mezza voce quando a Mussolini era toccato di morire gemendo. Già gli altri l’avevano fiutato molto prima, quando Osvaldo aveva cominciato a tirare madonne rivolgendosi al maiale con un mucchio di frasi feroci.

“Adesso ti impicchiamo per i piedi Mussolini… Qui è come in piazzale Loreto… Spezziamo le reni al testone… Stasera ci mangiamo il tuo sangue fritto… In culo alla brigata nera!”

A Bocchi erano già scappate due o tre parole che erano finite negli orecchi di Guarnieri.

“Te, mi stai andando su per una braga” gli aveva detto con un ringhio. Ma poi la cosa era finita lì perché Mussolini aveva cominciato a strepitare sul prato quando Baldo l’aveva preso per le orecchie e gli gridava: “Sta fermo rotto in culo d’un duce!” mentre “al long”, Brighenti, un norcino alto con la faccia triste di Manolete e la sigaretta Alfa che gli pendeva perennemente da un angolo della bocca, infilava l’uncino in gola alla bestia che strillava come un perno grippato tirando indietro, tanto che “al long” si era piegato tutto come un ramo di salice.

L’altro norcino, Brenno Casoni detto “puleggia” perché era tondo e rapido che sembrava il volando della trebbiatrice, gli aveva alzata la zampa anteriore destra e gli aveva infilato sotto il lungo coltello “corador” fino al cuore. Mussolini era crollato immediatamente sul grasso della pancia. L’avevano lasciato per un po’ a sbattersi sull’erba guazza in un laido coro di insulti e di cancheri rabbiosi.

“Crepa Mussolini!” gridavano contro il povero maiale preso a metafora.

Bocchi era rimasto zitto anche al momento di tagliare le mezzene. Li aveva lasciati sfogare nell’aia, tra vino e sangue che avevano lo stesso colore. La bestia era stata impiccata per i piedi ai pioli dello scalone del fienile, poi squartata e sgozzata affinché il sangue colasse tutto dentro il paiolo di rame. Quindi era stata svuotata delle interiora che sarebbero servite per la trippa e per contenere la carne dei salami, poi erano stati tolti gli altri organi. Baldo aveva sollevato il fegato: “Stasira eg magnema al fideg!” Stasera gli mangiamo il fegato. A Mussolini, quell’altro, naturalmente.

Bocchi aveva incassato in silenzio. Si sentiva già un sorvegliato speciale e gli sguardi lo tenevano sotto tiro come carabine. Così avevano tagliato il maiale, che della bestia non si buttava via niente. Neanche le ossa, prima leccate ben bene dai cani e poi vendute a uno che andava di aia in aia a raccoglierle per farci il concime.

Sul bancone si erano così accumulati i pezzi nobili e le frattaglie: i salami fatti coi ritagli pregiati, la coppa col sopraspalla, la pancetta con la parte più grassa sottopelle, la soppressata con gli scarti più grassi cotti fino a scindere lo strutto e soprattutto i prosciutti con le cosce rifilate e guarnite di sugna. Era stato allora che tutto era precipitato. Guarnieri li aveva sollevati come trofei e aveva esclamato: “Guardateli, non sembrano Mussolini e la Petacci?”

Non era chiaro quello che aveva detto Bocchi in quel momento. Al processo era saltato fuori solo che si trattava di un grave insulto, ma le testimonianze furono molto confuse. Certo è che doveva essere qualcosa di parecchio offensivo se anche il collegio giudicante di una magistratura in larga parte rimasta di fede fascista, aveva riconosciuto a Osvaldo l’attenuante della provocazione. Pare che Bocchi avesse sibilato: “Cla vaca ed vostra medra”, quella vacca di vostra madre.

Da qui in poi ci si deve accontentare del racconto di Osvaldo che risulta agli atti del processo a cui, peraltro, nessuno crede. Osvaldo era il più vecchio e il capo partigiano che comandava tutti i protagonisti di questa storia. Si dice che lui, essendo stato a lungo il responsabile in tempo di guerra, si fosse preso la colpa con lo stesso spirito di quando combatteva la brigata nera e quelli della “Hermann Goering”. Ebbene, Osvaldo aveva detto al giudice, in una confessione somigliante a un comizio, che Bocchi, dopo tutte le schifezze commesse dai suoi camerati, li aveva insopportabilmente insultati sfidandoli. E che lui, testimone solo pochi anni prima delle torture e degli assassini subiti dai compagni, non poteva sopportarlo. Così aveva preso la tibia del cavallo che serve per annusare i prosciutti stagionati dicendo a Bocchi che avrebbe nasato quel che aveva dentro e che, stando a ciò che pareva da fuori, doveva aver solo un mucchio di merda. Osvaldo l’aveva inchiodato per una ventina di volte e alla fine, ormai cieco d’ira, l’aveva “corato” come era appena accaduto con Mussolini. Di più non gli era uscito di bocca. I giudici provarono anche a incriminarlo per autocalunnia, ma alla fine non saltò fuori nient’altro che quel suo racconto e si decisero così a condannarlo. Lui, del resto, era andato incontro al suo destino con fierezza. Alcuni dicevano con la stupidità della disciplina comunista.

Anche il caso si era messo in mezzo e aveva fatto deflagrare la lite. Quell’insulto sfuggito a mezza voce, Bocchi che quel giorno doveva essere da un’altra parte, quella combriccola di bolscevichi che non si aspettavano di avere un fascista tra i piedi e soprattutto quei due prosciutti: Mussolini e la Petacci. Le donne… In questa storia c’entravano più della politica, secondo alcune voci. Anch’esse partivano da Osvaldo, dalla sua passione per il ballo, forte come quella per la bandiera rossa e lo sten. Girava tutte le feste paesane, estate e inverno e spesso lo si vedeva su a Corniglio anche con la neve alta fino alle orecchie. Di donne ne aveva sempre, anche di giovani. Con loro era deciso, determinato come in battaglia e raramente gliene scappava una. Compresa la moglie di Bocchi di cui si diceva che avesse mordente da vendere e, come trivialmente si sussurrava in val Parma, le piacesse molto “mettere il duce a villa Torlonia”.

Osvaldo con donne così, ci andava matto e se c’era da battagliare, non si tirava indietro. Con la moglie di Bocchi pareva avesse battagliato spesso fino a un po’ di tempo prima del fatto. Anche in questo caso c’era di mezzo un maiale. O meglio, una “sana”, una maiala che non figliava più e siccome era di razza nera anche lei, l’avevano chiamata proprio Petacci.

Quella di dare ai maiali nomi di fascisti era una consuetudine nelle valli dell’Appennino dove la guerra aveva seminato più morti. Era rimasta nell’aria una minacciosa ansia di vendetta che si sfogava nel rito cruento della macellazione. Ma nel caso della Petacci la rivalsa aveva preso un’altra strada. La bestia aveva due cosce che pesavano quattordici chili l’una appena staccate e tutti dicevano che sarebbero diventate prosciutti memorabili. “Il long” e “Puleggia” le avevano salate e lasciate per due settimane sulle assi ad assorbire la concia, poi erano tornati per valutare quanto sale si era sciolto nella carne e le avevano fatte attaccare ai travetti della cucina perché asciugassero. A metà inverno erano state trasferite in camera da letto al freddo asciutto, sopra il comò con le foto di famiglia e a primavera, col sole di marzo, esposte al sole nelle ore calde al riparo dalle arie cattive della Bassa. Ogni tanto Osvaldo saliva a tastarle, le annusava, le spiccava dal chiodo e le soppesava con voluttà sensuale. Erano davvero un paio di prosciutti straordinari e la sera si addormentava nel loro profumo sognando feste paesane dove si mangiava e beveva e c’erano donne allegre. In uno di questi sogni era comparsa la moglie di Bocchi e gli era subito piaciuta tanto che al mattino s’era svegliato invaghito.

Il marito, mica l’aveva mai visto. Lui non frequentava le balere. La moglie, invece, era una indiavolata e quando gli era capitata tra le braccia in una mazurca, aveva sentito che aveva il fuoco dentro. Si erano dati appuntamento ed era nata una relazione fatta di incontri sotto il portico, dentro cantine nell’odore del mosto, contro i pilastri delle barchesse o tra i filari nella bella stagione. E intanto i prosciutti compivano l’anno della maturazione, ma Osvaldo aspettava. Era un uomo paziente. Diceva che coi salumi e le donne ci vuole pazienza per ricavare il massimo. Così erano arrivati i diciotto mesi e Mussolini già scorrazzava nel bosco di Villanuova da lattonzolo. Una sera Osvaldo aveva deciso.

“Vendo un prosciutto e metto a mano l’altro” annunciò.

Ma il bello era che l’avrebbe venduto proprio alla moglie di Bocchi. L’idea era spuntata quando lei gli aveva confidato che alle elezioni il marito metteva la croce sulla fiamma del Movimento sociale italiano.

“Sarà costretto a ingoiarsela” aveva detto Osvaldo allusivo e ambiguo.

Detto fatto, si era messo in testa di vendergli il prosciutto della maiala Petacci così avrebbe dovuto ingoiarsela davvero. Ma non la croce sulla fiamma tricolore, bensì nientemeno che la morosa del duce.

“Oltre a scopargli la moglie, gli facciamo ingoiare fetta dopo fetta la sua anima nera” aveva concluso Osvaldo una sera a un tavolo dall’Orietta.

Di faccia, questo Bocchi, non l’aveva mai visto e non gliene fregava molto di incontrarlo. Gli bastava sapere che era un fascista per provare una perfida soddisfazione. Ma poi le voci, nelle valli dove tutti si conoscono, sono incontenibili e passano sottotraccia come le vene d’acqua nella terra. Di Osvaldo e della moglie di Bocchi s’era saputo in giro e si diceva che Corniglio non fosse più un posto raccomandabile. C’era persino chi diceva che il cornuto aveva organizzato una pattuglia di vecchi camerati per vendicarsi. Osvaldo non aveva paura, non ne aveva avuta nemmeno delle SS, ma forse si era stancato di suo e quella donna non gli andava più bene. Si diceva che ne avesse per mano un’altra, giù a Langhirano, che gli aveva fatto passare la smania per la moglie di Bocchi.

Fatto sta che a Corniglio non ci era più andato, ma era venuto Bocchi da lui. Senza conoscersi prima, si erano incontrati davanti alla mole imponente di Mussolini.

E’ impossibile sapere se Bocchi si fosse aggregato ai norcini apposta rinunciando a un altro lavoro. In tanti dicono di sì, che voleva prendere le misure a chi gli aveva affibbiato il marchio d’infamia del cornuto e di quello che si era mangiato la Petacci. Certo doveva sentirsi un uomo morto quando aveva scoperto che la derisione fa più danni delle pistole. E proprio per quello voleva forse lavarsi via l’onta dimostrando il coraggio di sfidare il rivale in casa sua, in quella specie di comitato centrale riunito apposta il giorno dell’esecuzione di Mussolini. Altri ipotizzano che volesse far fuori Osvaldo davanti a tutti con un gesto clamoroso di quelli che finiscono sul giornale, che poi i camerati l’avrebbero ricordato per sempre. Ma era andata diversamente e nessuno avrebbe scommesso su quell’ipotesi. Le uniche cose certe erano la morte di Bocchi e la sentenza del processo: nient’altro.

Ragionando di chiacchiere, invece, ci sarebbe anche la storia della roba. Di quella non si era saputo subito anche perché Guarnieri si guardò bene dal raccontarla. L’aveva scoperta uno dei negozianti che giravano per le valli a commerciare bestie: Guarnieri e Bocchi erano mezzi parenti e avevano battagliato per un pezzo di terra e un bosco ad Albazzano. Vecchi contrasti deflagrati di fronte al notaio e poi in schermaglie tra avvocati. Alla fine l’aveva avuta vinta la parte di Bocchi che si era presa tutto, a detta di Guarnieri comprando il giudice. E come poteva, un magistrato di fede fascista, dare torto a un camerata iscritto al partito? Così Guarnieri si era scornato, ma gli era rimasta dentro la rabbia che lui aveva sfogato in val d’Enza e in val Termina prendendo a schioppettate le camice nere. Anche dopo il 25 aprile avrebbe voluto continuare a “pulire casa”, come diceva spesso, tanto che più volte Osvaldo l’aveva richiamato alla prudenza e alla disciplina per evitare che facesse stupidate. Chi l’ha conosciuto, infatti, giura che a tirare la coltellata al cuore di Bocchi sia stato proprio lui. Anche ai carabinieri era parso subito strano quel corpo forato in tante parti da colpi non mortali e poi finito da una coltellata decisa, inequivocabilmente tirata per uccidere. Un cambio d’arma che suggeriva l’idea di due differenti volontà, di due rabbie di diversa misura.

Osvaldo aveva preso fin dall’inizio sotto tutela quel ragazzo coraggioso ma irriflessivo e, si diceva, che anche quella volta l’avesse coperto tirandosi addosso la colpa. Lui non era vecchio, ma ne aveva già viste abbastanza. L’altro sembrava ancora nuovo al mondo, aveva due figli piccoli e forse, agli occhi di Osvaldo, doveva apparirgli lui stesso come un figlio. Quello che forse aveva voluto ma che la guerra e il tempo speso in politica gli avevano impedito di avere. Comunque, nessuno può sapere se questa storia c’entra davvero col fatto di Bocchi. Che c’entri o no, c’è e ne va tenuto conto. Come del fatto che anche fra compagni bollissero vecchie rogne per la ragione che Osvaldo, a un certo punto, aveva manifestato simpatie per Bordiga e la cosa non era andata giù alla federazione provinciale. Si diceva che fosse caduto in disgrazia, ma che rappresentasse una figura troppo importante per essere tolta di mezzo facilmente, con un semplice procedimento. D’altro canto, proprio per il suo ascendente, Osvaldo stava diventando troppo pericoloso. Insomma, c’era chi dietro il fatto di Bocchi aveva visto una macchinazione politica per tagliare fuori il vecchio comandante partigiano. La pugnalata al cuore del fascista era stata una pugnalata anche a lui perché era finito in galera, lontano dai giochi negli anni migliori e quando era uscito la partita non aveva più storia. Ecco perché si era andato a seppellire nella Bassa modenese a inscatolare mattonelle, laddove non sapevano molto di lui ed era semplicemente “al pramsan”, il parmigiano.

Che poi fosse stato proprio Guarnieri a tradirlo in quel modo, facendo trascendere una lite o avviandola di proposito sapendo che Osvaldo sarebbe stato il principale sospettato per fatti privati e anzianità politica, sembrava paradossale, ma forse per questo la gente vi attribuiva credito. Da che mondo è mondo, tutti credono più alle favole che alle verità. Specie quando i protagonisti si dileguano lasciando solo una scia di ombre. Anche Ottorino, che pur ha sentito spesso lo zio parlare del fatto di Bocchi, ha la testa confusa e non sa più distinguere nettamente i fatti dall’esorbitante invenzione che si sono tirati dietro. Dopo la ramanzina a Zurlini dall’Orietta, anche lui non ha più voluto parlare di quella storia. Assiste indifferente al racconto della vicenda e al suo trasformarsi progressivo senza più reagire, arreso di fronte all’ineluttabile. Del resto era tutto scritto fin dall’inizio. Non era una finzione, una truce rappresentazione, quel maiale nero ammazzato sull’aia di Baldo? Mussolini. Tutto era cominciato il giorno che Baldo aveva detto: “Domani ammazziamo Mussolini”.

 
Si ringrazia la regione Emilia Romagna per la gentile concessione del racconto 'Mussolini' pubblicato nella raccolta 'Il gusto del delitto' edita nel 2008 da 'Leonardo publishing'.

giovedì 13 gennaio 2011

Intervista a Sandrone Dazieri - "Esordite da soli e poi cercatevi un agente"

Come promesso inserisco l'intervista fatta pochi giorni fa a Sandrone Dazieri. Scrittore, sceneggiatore, consulente editoriale, Sandro è da sempre vicino ai giovani scrittori e risulta dunque molto importante, per me, la sua presenza attiva in questo piccolo Blogolo.

 
Allora, Blogolo si occupa in modo particolare di esordi e di esordienti, vorrei dunque chiederti di parlarmi un po' dei tuoi inizi, se non erro l'editore del tuo primo romanzo dovrebbe essere Castelvecchi, giusto? Come l'hai convinto a pubblicarti? Credi che il percorso da te intrapreso sia percorribile ancora oggi?

Allora. Quello di Castelvecchi era un saggio sull'underground italiano, Italia Overground. Non fui io a proporlo a Castelvecchi, ma fu uno dei collaboratori di Castelvecchi a propormelo, Sergio Bianchi. Me lo propose perché sapeva che ero un attivista dei centri sociali e che qualche volta il Manifesto ospitava i miei interventi sull'argomento e sulla narativa di genere. Ai tempi, la controcultura aveva forti connessioni con la fantascienza, anche se oggi può stupire. Si parlava delle possibilità delle reti, si discuteva di cyberpunk, un collettivo bolognese prendeva il nome da Transmaniacon, un romanzo di fantascienza di John Shirley. Un paio di anni dopo questo saggio fui contattato da Valerio Evangelisti per pubblicare un racconto in un'antologia dedicata al fantastico, dal titolo Tutti i denti del mostro sono perfetti. La sua idea era quella di affiancare a scrittori professionisti anche dilettanti che però avessero una certa passione per il genere e che lo prendessero, diciamo così, da un'angolazione "alternativa". L'antologia fu pubblicata da Mondadori. Entrai in contatto con Mondadori, cui proposi il mio primo romanzo, Attenti al Gorilla, che è uscito per il Giallo Mondadori. Il Giallo Mondadori, per quanto prestigioso, va ricordato che non è una collana da libreria, ma da edicola. Un periodico. L'approccio vero e proprio alla libreria l'ho avuto solo due anni dopo, quando il giallo è stato ripubblicato negli Oscar perché aveva avuto un buon successo di critica, anche se non di vendite. Questi i miei esordi, quindi, e credo che il percorso da me fatto sia quello ancora preferibile per tutti gli esordienti. Ovvero approfondire le proprie passioni e cominciare dal piccolo. Non sono partito proponendo un romanzo a una major, sono partito scrivendo articoli, poi pubblicando qualcosa di molto personale con una piccola casa editrice di qualità, poi provando con un racconto... Insomma, ho fatto una gavetta lunga, alla quale vanno aggiunti sei anni circa come correttore di bozze per riviste televisive che mi hanno dato le basi della punteggiatura e della grammatica.

Una delle idee per cui nasce Blogolonelbuio è quella di offrire uno spazio ai nuovi scrittori italiani (bravi!) che ronzano attorno ai circuiti indipendenti. Tu che impressione hai di questa nuova generazione di scrittori? Ne segui qualcuno in particolare? Da talent scout ne hai lanciato qualcuno?

Sto aspettando qualcosa che davvero mi stupisca tra le nuovissime leve del noir, che mi sembrano un po' adagiate su modelli classici o derivativi, mentre nell'horror e nel fantastico in generale sto leggendo cose interessanti. Non faccio nomi perché mi sono dato la regola di non recensire mai libri altrui, proprio perché collaboro con case editrici e conosco un sacco di scrittori, e passerei per poco obiettivo. Di solito parlo solo di autori che pubblico direttamente, specificando che, appunto, li sto pubblicando io, quindi quello che dico va preso con beneficio di inventario. Ovviamente a me sono piaciuti, ma nessuno può credere che io sia neutro nei loro confronti. Di autori ne ho lanciati molti in varie collane, anche per ragazzi e giovani adulti. Non faccio nomi perché rischio di dimenticarne qualcuno e poi perché il lavoro dell'editor è qualcosa che giustamente deve stare dietro le quinte.

Hai lavorato per molto tempo nella redazione Mondadori (hai diretto i Gialli e la collana ragazzi). Come si lavora all'interno di una casa editrice così grande? Come si svolgevano la tue giornate?

I Ragazzi non sono una collana ma una divisione della Mondadori ed è stato il lavoro più di responsabilità che ho avuto in ambito editoriale. Le giornate di un editore sono infinite, nel senso che ti porti il lavoro a casa e nei weekend. Comunque, la giornata tipica era quella di andare in ufficio la mattina e uscirne la sera, leggendo manoscritti (la parte minore del lavoro), scrivendo quarte di copertina, decidendo uscite, discutendo con i grafici per le copertine, parlando con traduttori, revisori, uomini marketing, altri direttori... E' un lavoro di squadra. Ma la parte più importante era quella del rapporto con gli autori, che giustamente vedono nel direttore il punto di riferimento. Parli di progetti nuovi, gli racconti come vanno le vendite, li presenti...

Oggi hai scelto di essere scrittore a tempo pieno. E' dunque possibile in Italia vivere dignitosamente con i proventi della propria scrittura?


Dipende dove si colloca il tuo livello di dignitoso e quanto vendi. Io campo soprattutto di scrittura, ma non solo di romanzi. Scrivo per il cinema e per la televisione. Poi mantengo una collaborazione con Mondadori, come editor esterno. Ma i calcoli si fanno presto. Un autore riceve mediamente da uno a due euro per copia di romanzo venduto (in hard cover, la metà o anche meno nel paperback). Con diecimila copie ha quindi l'equivalente del salario di un operaio senza contributi, con 20 mila quelle di un operaio specializzato più contributi, con trentamila di un quadro... Lo svantaggio è che non hai sicurezze: se non vendi non mangi. Il vantaggio è che non hai padroni e ti puoi alzare senza mettere la sveglia. Teoricamente, perché quasi tutti i colleghi che conosco lavorano come dei muli.

Hai un agente che ti rappresenta? Cosa pensi delle agenzie letterarie?


Sì, l'agenzia letteraria Grandi e Associati, poi l'Avvocato Minutillo per il cinema e la televisione. Le agenzie letterarie per un professionista sono fondamentali, per gestire il rapporto con gli editori, che sono quelli che comprano il tuo lavoro, per sostenerti quando sei in crisi (ma qui dipende dai rapporti), per farti pagare eccetera. Per un esordiente sono per lo più una perdita di tempo. O meglio. Se l'esordiente ha scritto un capolavoro, l'agente può strappare un buon prezzo, ma per capirlo l'agente deve leggerlo, e per leggerlo deve avere il tempo e normalmente il tempo lo trova se pensa che non lo sta sprecando. E' un gatto che si morde la coda, ma il tempo non è espandibile a piacimento. Io ho preso un agente solo dopo aver pubblicato il primo romanzo e con una proposta per un secondo. Consiglio di fare così: esordire da soli e poi farsi rappresentare.

Mi parli un po' di La bellezza è un malinteso, il tuo ultimo libro (Strade Blu - Mondadori). 


E' l'ultimo romanzo della serie del Gorilla. E' invecchiato con me, ha fatto tutto quello che doveva fare e doveva chiudere il suo ciclo. Come dico sempre, la serie del Gorilla non è una serie, ma un unico romanzo diviso a puntate, con il sapore che varia dall'allegro scanzonato del primo al dramma dell'ultimo. Che parla del furto di un'opera d'arte di Damien Hirst e della scia di sangue che ne consegue. Con la Bellezza volevo violare l'ultima regola del giallo che mi rimaneva da violare: la regola numero uno. Quella che dice: un giallo ruota attorno a un omicidio. Il mio giallo ruota attorno a un suicidio, che sin dall'inizio sai che è un suicidio. Il primo morto ammazzato arriva a metà, e solo perché dovevo per forza mettercelo, altrimenti lo avrei evitato. Molti lettori sono rimasti sconcertati dalla scelta, ed era quello che volevo. Il giallo con l'investigatore che si sveglia la mattina e va a risolvere un caso non mi ha mai interessato molto. Comunque sono contento perché il Gorilla, per lo meno, ha chiuso in Bellezza (ehm ehm, la vera ragione del titolo). Adesso rimane dentro di me e io dentro di lui.

Progetti futuri?


Il nuovo romanzo che sto scrivendo, e che spero di pubblicare a fine anno. Un paio di serie televisive che sto scrivendo. Per rimanere aggiornati consiglio di fare sempre un giro sul mio blog: http://sandronedazieri.nova100.ilsole24ore.com/



Grazie mille Sandro per la tua disponibilità.

domenica 9 gennaio 2011

Ozio, accidia, inerzia assoluta

Le troppe vacanze, il troppo lavoro in arretrato e, lo ammetto, la troppa pigrizia (l'ozio, l'accidia, l'inerizia assoluta), ultimamente hanno diradato molto il ritmo dei post. Ma il lavoro di Blogolo continua (lento ma continua, inesorabile) e presto saranno inseriti alcuni racconti davvero interessanti e una bella intervista al mitico Sandrone Dazieri. Nel frattempo, giusto per farmi perdonare, inserisco due brevi articoli apparsi su La Meridiana e su Il Giornale che parlano di questo piccolo Blogolo.
:-)




La Meridiana 
IL BLOG DEL MESE   

Stuzzicare la curiosità dei lettori andando alla ricerca di autori incontrati per caso on-line, spunti alternativi alla letteratura usuale. Questa l’idea al centro di blogolonelbuio.blogspot.com, nato pochi mesi fa (maggio 2010), ma capace in poco tempo di divenire una vetrina per scrittori emergenti. Oltre a un’accurata selezione di racconti, tante interviste agli addetti ai lavori, ricche di suggerimenti e indicazioni per coloro che si trovano alle prese con le prime esperienze editoriali.


Il Giornale
INDISCRETO

A dispetto del logo, un’invitante aragosta di carta sul piatto, la fiera romana dei piccoli editori, Più libri più liberi, è stata un susseguirsi di lamentele. Almeno a leggere il blog letterario Blogolonelbuio che riporta le «migliori frasi pronunciate dagli addetti ai lavori»: «Ieri è andata bene, qualcosa si è venduto, oggi se compriamo il pranzo mi sa che ci andiamo a perdere». E ancora (qui sono due donne a parlare di un editore): «Mi fa incazzare, quando parla coi giornali dice che la crisi editoriale non c’è e se c’è non ci riguarda... sempre la solita storia». L’altra: «A me deve ancora pagare ottobre e novembre».
Related Posts with Thumbnails