martedì 1 giugno 2010

Racconto: L'appuntamento - di Francesco Cozzolino

Il nuovo racconto che Blogolonelbuio ha deciso oggi di pubblicare è L'appuntamento, di Francesco Cozzolino. Il tema scelto è sicuramente affascinante: la Paura (quella con la P maiuscola). La trovata interessante è a mio avviso il contrasto che c'è tra la mancanza di riferimenti fisici del protagonista (infatti ne ignoriamo completamente le fattezze) e l'abbondanza delle sue paure (delle quali veniamo di volta in volta messi a conoscenza). Questo stratagemma trovo che crei un buon effetto empatia in grado di reggere dall'inizio alla fine della storia. Inoltre, per quanto la dinamica del racconto non sia troppo elaborata, mi pare lodevole il modo in cui l'autore riesce a ingabbiare un'idea (che dà l'impressione di essere stata a lungo meditata) per poi restituire un testo che risulta essere comunque piacevole alla lettura.
 


L'APPUNTAMENTO

Stato d’animo costituito da grave turbamento e inquietudine che si prova al pensiero o alla presenza di un pericolo.
Questa è solo una parte della verità. E’ troppo specifico in un’epoca in cui ormai le specializzazioni non ti rendono speciale.
Camilla è in ritardo per l’appuntamento.
Io agli appuntamenti arrivo sempre in anticipo, magari sbaglio il luogo d’incontro, ma comunque ci arrivo in anticipo. E’ la mia Paura di arrivare in ritardo che vince.
Concedetemi dieci minuti, il tempo di essere puntuale.

Mi ripeto la definizione mentalmente. Stato d’animo costituito da grave turbamento e inquietudine che si prova al pensiero o alla presenza di un pericolo.
Quello che vorrei ricordare, più di tutto, è il modo in cui mi sento quando ho paura. La Paura è la mia passione migliore.
I figli della mia cultura lo capiscono bene.
E la mia, è la cultura della Paura, un tumore benigno. Io me la immagino sempre come una vecchia signora che di questi tempi non riesce più a spaventare nessuno, ma che porta ancora con sé una piccola saggezza, l’ultimo passo che ti può far cambiare strada. Quel coraggio che solo Lei sa insegnarti. Seguendo questa regola si avranno solo eccezioni.
Mi spiego.
A diciassette anni ho preso il mio primo aereo. Sono tornato dopo due settimane senza che mi fosse successo niente. Eppure lo tengo lì, nella scatola delle cose suscettibili. Con i cinema, i concerti, le file centrali dei teatri e le cene numerose. Gli appuntamenti, il cibo, gli sguardi delle altre persone e i posti affollati. La lista sarebbe potenzialmente infinita, come la paura di stilarla.
Prendo in mano uno di quei manuali di psicopatologia e mi rendo conto che si può essere malati solo con le parole.
Tachicardia, iperventilazione, svenimento. E’ un attimo e il tuo malessere diventa una condizione da celebrare. Qualcosa a cui adeguare la realtà.
Cristoforo Colombo è stato convinto, probabilmente fino alla morte, di aver scoperto il Giappone. Quando la realtà e la mia immaginazione non coincidono, anche io continuo a pensare che sia la realtà ad essere nel torto.
E’ così che ho conosciuto Camilla.
Per un po’ è stata la mia psicoterapeuta. Lei ne sa parecchio di Paura, malessere e tutta quella roba lì. Quando abbiamo capito che saperne di più non ti rende speciale, abbiamo lasciato stare la cura e siamo diventati amici. Come possono diventarlo due persone che condividono la stessa cella.
Se non avessi avuto paura, quella volta, sarei morta - mi ha detto una sera. Click. Qualcosa in me si è acceso. Ecco, mi sono detto, questo è quello che c’è di buono nella Paura. Senza usare giri di parole: ti salva il culo. Lo so, probabilmente è un po’ azzardato. Ma seguitemi.
Di questi tempi le volte in cui possiamo davvero usare la Paura si contano sulle dita di una mano. Oggi viviamo di surrogati. I sapori non sono più quelli di una volta, e così i sentimenti più viscerali. Sono annacquati, anzi peggio, sono abusati.
Così abbiamo iniziato un percorso, io e Camilla.
Primo passo, bruciare le parole d’ordine.
Tutta quella serie di scuse per spaventarci, che non nascondono altro che un malessere provvisorio, il cui unico scopo è farci arrivare alla fine della giornata. O del mese, se siamo bravi a mentire. Uno spavento fa solo perdere tempo. Come dire, immigrato, contemporaneo, contagio, futuro, curriculum, specializzazione, solitudine, stage.
Secondo passo, chiamare le cose con il loro nome.
Io do loro dei nomi rassicuranti. Come se fossero amici con cui uscire la sera. Abbiamo tutti bisogno di stereotipi, danno sicurezza, ci fanno sentire a casa anche quando non lo siamo.
Terzo passo, restituire alla Paura il posto che si merita.
Per me è la regina delle emozioni. Le contiene tutte, coraggio compreso. Come dire, problema e soluzione in unico elegante gesto.
Insomma, se vuoi un mondo migliore, comincia ad avere paura di questo. Ecco, la mia è una ricetta omeopatica.
Non bisogna avvelenare nessuno, solo renderlo immune. E’ per questo che io e Camilla ci torturiamo con tante piccole ansie, durante le nostre sedute. Per renderci conto di quanto siano inutili. Per avere il coraggio, quando troveremo una giusta causa, di lavorarci su.
“Agorafobia?”
“Ce l’ho”.
“Claustrofobia?”
“Semplice o da sacco a pelo?”
“Da ascensore, più che altro”.
“E’ un classico, ce l’ho”.
“Gastrite?”
“Ce l’ho”.
“Cronica?”
“Come no”.
Gli stati si scambiano le merci, i bambini le figurine. Noi ci scambiamo le paure. All’inizio, le nostre gare d’ansie pagavano un po’ il fatto che lei mi credeva un principiante.
“Paura del vuoto?”
“Ci sono arrivato tardi, ma ce l’ho anche io adesso”.
“Allora non vale. Ipocondria?”
“Troppo vago”.
“Bene, extrasistole?”
“Ce l’ho. Puoi fare di meglio”.
“Il bicchiere d’acqua sul comodino?”
“Ce l’ho”.
“Schiavitù da rinazina?”
“Come no, con convinzione ideologica”.
“Pile di libri comprati e mai letti?”
“Ce l’ho”.
“Svenimenti?”
“Abusata. Chi non sviene più al giorno d’oggi?”
“Hai ragione, ridarella?”
“Imbattibile, una delle migliori, ce l’ho”.
“Paura della morte?”
Silenzio.
Non ci avevo mai pensato. Maledetta necrofoba, anche questa volta mi ha superato. La resa è come la sincerità, arriva sempre come un macigno: “mi manca”.
Ma sconfitta dopo sconfitta, si impara a dare il giusto valore alle cose. Così mi dice sempre Camilla.
Questo è quello che facciamo, combattiamo il sistema dall’interno. Non vogliamo fare un pranzo di gala, ognuno ha bisogno della sua rivoluzione. Questa è la mia.

Mi guardo in giro e non la vedo. Da quando la conosco, Camilla non è mai stata in ritardo, forse le è successo qualcosa.
La nostra, più che una storia, è l’ipotesi di una sorte positiva. Una speranza, la stessa di chi va in mare e sogna che il suo rischio possa trasformarsi in ricompensa.
Perché se c’è una ricompensa per tutta questa Paura, deve essere bella grossa. Perché oltre ad essere una grana, la Paura, è anche un buon metro di misura per quello che ti succede. Sogni compresi.
Ci siamo abituati da piccoli, da quando giocavamo a nascondino. Pensateci.
Il gioco del nascondino si basa su un concetto molto semplice e molto sbagliato, allena le persone a trovare nascondigli sempre migliori senza farli preoccupare di come arrivare a liberarsi.
Con il tempo i nascondigli si sono fatti estremamente sofisticati ma il momento della liberazione dipende sempre e solo da un fattore: la distrazione di chi ti sta cercando.
Le paure immotivate sono i nascondigli del mio tempo. Ma la libertà non può dipendere dal caso.
Succede così quando capisci le cose, ne afferri il senso e quelle spariscono.
Camilla non arriva.
Non è mai arrivata, non arriverà mai. È stato il mio nome rassicurante. E’ stata la mia Paura di avere paura. Forse ho sbagliato il luogo d’incontro. Forse sono arrivato in ritardo. O forse per la prima volta sono nel posto giusto. Ho passato una vita a sognare qualcosa che non sarebbe avvenuta nel posto in cui ero. Lì c’era la Paura.
Tutte le cose migliori hanno un prezzo, e molto spesso quel prezzo è la paura che si portano dietro. E quando se ne vanno, ti accorgi che puoi vivere benissimo senza pannolino.
Perché sognare è come essere incontinenti, qualcosa da tenere per sé, fino al bagno più vicino. Altrimenti si rischia di sognarsi addosso.
Pericoloso? Esatto.

Francesco Cozzolino è nato a Genova nel 1982. Laureato in Scienze Politiche tra Genova e Milano, attualmente vive a Torino dove frequenta la Scuola Holden.
Fotografo oltre che scrittore, fa parte di DeadManTalking, associazione che si occupa della promozione di eventi culturali e della produzione di documentari e cortometraggi. Collabora con il portale Torinonotte e ha pubblicato racconti su riviste come Il Paradiso degli Orchi e Linus, dove è apparso un estratto del suo primo romanzo (attualmente in cerca di editore), “Scatafascio”.
Il suo indirizzo email è: fraceci.co@gmail.com

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello. Forse in alcuni passaggi un pochino pretenzioso ma è bello. Una scrittura scorrevole e un'idea in testa e non è poco.
Un bravo a Francesco e un grazie a lei signor Blogolo per questo bel salotto che ha creato.

MartaC.

Anonimo ha detto...

il finale mi ha lasciata un po' perplessa ma mi sembra lo stesso un buon racconto. si legge in un sorso :)
Adiar

Anonimo ha detto...

Bravo Francesco
JorJo

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