giovedì 17 giugno 2010

Da Giap - Wu Ming: "Quel che pensiamo sul caso Luttazzi"

Riporto da Giap questa riflessione in merito alle accuse di plagio rivolte al comico Daniele Luttazzi. Si tratta di una questione a mio avviso molto delicata che sta facendo discutere da un paio di giorni (qui un altro articolo apparso su l'Unità). Sul blog di Daniele è ben espressa la sua posizione sull'argomento. Personalmente apprezzo molto Luttazzi e continuerò a seguirlo come se nulla fosse.  Mi piacerebbe avere un parere sul plagio (cos'è plagio e cosa non lo è), non solo nella satira ma in generale. 
Qui il video





 
Daniele Luttazzi divorato dai suoi fan, che nel distruggerlo pèrdono una parte di se stessi. E’ il suicidio di una comunità, un rituale auto-cannibalistico. Anzi, no, un carnevale, nel senso bachtiniano. Quando descrisse la dinamica del carnevale, del mondo che si rovescia, Bachtin aveva in mente le purghe staliniane: un giorno eri membro del comitato centrale, potente, riverito; il giorno dopo eri processato da traditore e finivi morto o nel gulag. Il carnevale scarica tensioni, realizza temporanee catarsi, ma non contesta il funzionamento del potere, anzi, ne rafforza i meccanismi. Questo carnevale ci insegnerà qualcosa solo se non ci accontenteremo del lavacro, del sacrificio, di veder punito il reo.
Occorre precisare: reo non tanto di aver copiato, quanto di averlo fatto in modo ambiguo e di avere più volte eluso la questione, reagendo con vittimismo, spocchia e aggressività, conducendo una disgraziata “guerriglia” sul web e gridando a imprecisati complotti.
Dire che Luttazzi ha sbagliato non può essere la conclusione, ma l’apertura di un discorso più vasto. La malafede, parola usata da molti, non è spiegazione sufficiente. Non ci soddisfa dire che uno “è in malafede”, vorremmo sapere da cosa nasce la malafede, perché ha preso quella forma e non altre. Sono in gioco pulsioni profonde. Ipotizziamo che, all’inizio, Luttazzi intendesse omaggiare i suoi idoli comici, poi sia entrato in un vortice che ha cambiato la natura di quei “prestiti”. Luttazzi è a sua volta un fan, e i fan si riappropriano della cultura che amano. Solo che non ci fanno soldi sopra, e soprattutto non impugnano il copyright per impedire ad altri di fare quel che han fatto loro. Ecco il fulcro del biasimo. Che però, appunto, non basta. Chiediamoci cosa sia successo nella testa e nel cuore di un uomo, e ragioniamo sui rapporti tra artista e pubblico, ruolo del comico e comunità dei fan.
Luttazzi poteva fare coming out, aprirsi, rispondere davvero ai dubbi. Avrebbe sofferto, ma meno di quanto soffre ora. L’incapacità di gestire questa storia ha radici in certi “vizi” del Luttazzi blogger, limiti nell’uso della rete, e soprattutto problemi nel costruire un rapporto trasparente coi fan. Luttazzi ha percepito questi ultimi come una minaccia; a loro volta, essi si sono impuntati e dal fargli le pulci son passati a fargli pelo e contropelo, se non addirittura lo scalpo.
Di sicuro, se c’è stato un deficit di fiducia in questo frangente, significa che c’era già prima, latente ma operante. C’era una distanza colma di non-detti. Esisteva una comunità dei fan di Luttazzi? Forse no. Forse il singolo estimatore lo ammirava per conto proprio e qualcosa impediva il formarsi di rapporti orizzontali e reciproci. Forse, per paradosso, una comunità di (ex-)fan esiste soltanto ora: quando i fan hanno deciso di farsi comunità, è stato perché la figura di Luttazzi non li convinceva più e hanno deciso di contestarla.
Quanto peso ha, in questa vicenda, l’investimento che nell’Italia berlusconiana si fa su certe figure salvifiche? Negli ultimi anni i comici si sono trovati a fare supplenza dei leader dell’opposizione. Ciò è malsano, perché porta a vedere nel comico, se non un messia, almeno un incorruttibile paladino, senza le sane contraddizioni dei comuni mortali. Un comico ruba delle battute, viene “sgamato” e viene additato come nemico pubblico. Non esiste nulla del genere fuori d’Italia.
Ironia della sorte, Luttazzi è stato l’unicocomico a evidenziare questo male, ed è il primo a patirne le conseguenze. Pianga se stesso, ok, ma un rapporto sbagliato si costruisce in due. Per citare da un blog: “Come si fa a fare 4.000 km. in bici in venti giorni a 45 km. all’ora di media? Ovvio, si va dal farmacista. Qualcuno vorrebbe vedere un Tour de France corso a 30 km/h o gare olimpiche vinte con tempi due secondi sopra i record attuali? Certo che no. I fan esigono il doping, ma vogliono che il dopato sia ucciso. E’ lecito interrogarsi sul marciume di tale meccanismo? 
Se c’è qualcosa che ostacola l’interrogarsi, è il modo in cui la Rete si trasforma in “macchina ammazzacattivi”. Non c’entra l’intento iniziale di chi – giustamente! – ha fatto le pulci a Luttazzi. Parliamo di un dispositivo che una volta avviato opera in modo inesorabile. Il punto non è chi inizia, ma quanti proseguono e come. Lo vediamo sui social network: tardiva voglia di gridare in coro, di unirsi alla folla per attaccare chi è già attaccato, chi è già stato individuato come “folk devil”, e tutto ciò dalla comodità del proprio tinello, soli di fronte a uno schermo, senza vere assunzioni di responsabilità. Se la cosa era partita come dinamica di intelligenza collettiva, ora prosegue con una mentalità da crociata, resa dei conti finale, raddrizzamento dell’assetto del mondo. Assetto azzoppato dalla nequizia di… chi? Di un comico che ha millantato la paternità di battute! In rete c’è pure chi si rammarica per aver riso di quei jokes. Si fa il processo alle risate di ieri: se non si può più ridere oggi, vuol dire che non si doveva ridere nemmeno prima. “La miseria del presente ha valore retroattivo” (Karl Kraus).
Luttazzi è un artista complesso e poliedrico. Le sue mosse fanno incazzare, ma stiamo attenti a non dipingerlo come un mero parassita. Ha scritto preziosi saggi sulle regole della satira, condotto trasmissioni che hanno lasciato un segno, combattuto contro editti, ukase et similia. Comunque la si pensi, ha innovato il modo di fare satira in Italia, riscattato i primi libri di Woody Allen da pessime traduzioni risalenti agli anni ‘70 etc. A dispetto dei suoi errori, è stato indubbiamente un autore (auctor, colui che aumenta lo scibile).
Può ancora uscirne? Boh. Forse la sua è pulsione di morte. Ha chiesto alla Rete di essere sbranato, la Rete esaudisce il desiderio. E forse i desideri erano tre:
1) voglio far ridere;
2) voglio far ridere come gli americani;
3) voglio morire.
Forse l’ignominia è una forma di gloria. Forse è il finale che, inconsciamente, si era preparato da tempo.
Nessuno osi rallegrarsi di questo.
[Questo articolo è apparso su "L'Unità" del 13/06/2010. E' stato scritto grazie alle persone che hanno discusso con noi in questi giorni, su Twitter e nella "threagedia" messa in scena su Lipperatura.]

4 commenti:

Steelo ha detto...

Ciao, ho notato che Daniele Luttazzi sta imperversando in rete con decine di account falsi, con i quali fa "rumore di fondo", commenta a suo favore articoli e post che parlano dei suoi plagi, ed edita a tradimento articoli di Wikipedia per falsificarli a suo favore. Anche molti commenti in sua difesa sul Fatto Quotidiano sono in realtà scritti da lui.

Inoltre, mentre facevo ricerche per capire l'entità dell'azione dei fake di Daniele Luttazzi in giro per Internet, ho scoperto che oltre alle centinaia di battute copiate - metà repertorio! - scoperte dai ragazzi di ComedySubs e NtVox, anche il suo libro d'esordio "101 cose da evitare a un funerale" è un plagio integrale di un articolo di Ed Bluestone (e successivi addenda) apparso sul numero 34 (1973) della rivista umoristica americana National Lampoon.

Steelo

Gianni S. ha detto...

Ciao. Ho notato che questo Steelo sta spammando ovunque questa ennesima falsità su Luttazzi, risalente al 2010. Di fatto, il libro di Luttazzi non è affatto "un plagio integrale di un articolo da Bluestone". Basta leggere l'articolo di Bluestone per accorgersene. Quanto alle accuse sui fake, spero che Steelo abbia elementi che lo confermino.

Gianni S. ha detto...

PS: quella di Steelo sul "rumore di fondo" è una frase scritta in un commento su Luttazzi pubblicato da Giornalettismo un anno fa dall'utente "Nulla questio". "Steelo" dunque è un fake?

Anonimo ha detto...

Qui la replica a Wu Ming: http://goo.gl/hT9XLl

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